Durac lenner era fermo da un’ora all’angolo di quella strada. Indossava un cappotto color cammello ed aveva una sciarpa marrone che avvolgeva intorno alla gola a modo nodo di cravatta. La sera era fredda ma non eccessivamente e le luci della città davano ai colori e un tenue sfumato contrasto che li rendeva simile a pennellate d’acquarello. La gente gli passava accanto e sembrava non accorgersi di lui e lui sembrava non accorgersi di loro. Era assorto nei suoi pensieri sempre più neri sempre più di sconfitta, ormai era stato superato il tempo massimo di sopportazione ed era in procinto di andarsene. La vide arrivare in lontananza, il suo cuore si riempì di gioia e sorpresa esultò, ma durò assai poco. Lei lo vide rimase per un attimo ferma poi con voce irata gli scagliò le seguenti parole. Che diavolo fai qui, non dovevi essere a casa che cretino che sei non ci si può mai fidare di te. Duran Lenner rimase in mobile quasi gelato, perché quella donna gli si rivolgeva in quel modo e cosa volevano dire le sue parole. Era il loro secondo appuntamento e dopo un primo fugace incontro in quel bar dove per caso si erano conosciuti e, quale casa e perché non ci si poteva fidare di lui. Era tutto incomprensibile lei lo guardava con disprezzo con odio poi continuò. I bambini, ti avevo lasciato i bambini e, tu come un imbecille li hai lasciati da soli, non avrei mai creduto che potessi arrivare a tanto. I bambini , ma quali bambini pensò Duranc Lenner. Non era sposato viveva da solo e non aveva certamente bambini, quella donna doveva essere pazza, non ce altra spiegazione possibile. Quasi per istinto guardò l’orologio quasi forse per rompere l’assurdità del momento, ma quello che vide lo lasciò ancora più in sgomento le lancette giravano in senso antiorario in maniera vertiginosa. Ebbe un momento di smarrimento, poi un forte giramento di testa si sentì mancare, si appoggiò al muro e si portò le mani al volto, quasi si volesse proteggere. Chiuse gli occhi quando li riaprì era di nuovo solo nella strada e la donna era scomparsa. Qualche secondo di perplessità, poi riguardò l’orologio le lancette procedevano in maniera regolare e segnavano qualche minuto prima dell’appuntamento. Si sentì chiamare, poi la vide era la stessa donna, la stessa l’aveva insultato, ma era vestita in modo diverso ed sembrava più giovane, bellissima ed era stranamente puntualissima. Lei si avvicinò, lui la guardò addolorato, era la prima volta nella sua vita che qualcuno era arrivato puntuale. Fu come una illuminazione e capii e senza neanche risponderla al saluto corse via e non si fermò fino a quando non ebbe più fiato in gola. La sua mente ormai era preso da un solo pensiero, quanto era bella l’attesa e, come era importante sapere aspettare e da quel momento, l’attesa divenne la sua arte.
lunedì 21 maggio 2007
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