lunedì 21 maggio 2007

Notte di fine inverno per Sigmund Foster

Notte di fine inverno di qualche anno fa. L’auto corre sull’autostrada, solo in macchina , Sigmund Foster guida assorto nei suoi pensieri.
Il viaggio dura ormai da molte ore e, la stanchezza comincia a farsi sentire.
Sigmund sbadiglia, si stropiccia gli occhi stringe con forza il volante, comprime i muscoli , allunga le gambe.
Fuori fa freddo e, il termometro della temperatura esterna segna due gradi sopra lo zero, l’aria è tersa , pulita non c’è vento, senza foschia e le stelle sono, visibili, limpide, bellissime.
Accende l’auto radio, la musica riempie l’abitacolo e, una musica dolce ovattata, romantica, Sigmund è, praticamente solo sull’autostrada, l’ultima auto l’ha, lasciata da tempo, nessuno lo precede nessuno lo segue, solo, solo nella notte, ritornano in mente i versi di una vecchia canzone, sorride, sbadiglia di nuovo.
Una luce, una luce improvvisa, lontana, sembrano i fari di un auto dietro di lui, forse uscita da una strada secondaria.
Un sospiro, non è più solo, si sente tranquillo respira profondamente. La luce dietro di lui si avvicina. Accidenti pensa Sigmud, deve avere molta fretta quello lì, ma, a che velocità sta viaggiando, fa un piccolo calcolo mentale, rimane perplesso, sta anche lui viaggiando ad una velocità piuttosto sostenuta.
Accidenti ripensa, quel pazzo viaggia a occhio e croce a più di duecento chilometri orari, deve avere una gran bella auto.
La luce si fa, più vicina, vivida,” ma che strano “ riflette Sigmund ” ha un solo faro” deve essere una moto è bella grossa.
Dio mio è da folli viaggiare su due ruote a queste velocità, come diavolo fanno , non muoiono dalla paura, io non sarei capace neanche di andare a ottanta all’ora.
Le due ruote, mi hanno fatto sempre tanta, tanta paura.
Sigmund decelera, accosta sulla sua mano. “Meglio cosi” pensa, “quel disgraziato, mi deve sorpassare ,cosi non corro nessun pericolo”.
Ma la luce rimane, stabile, come se avesse rallentato.
Buon Dio, strano, forse ha avuto un momento di ravvedimento!
Schiaccia il piede sull’ acceleratore , l’auto schizza in avanti, prende velocità, la luce accelera anche essa, si avvicina sempre di più.
Sigmund rimane perplesso,”ma che quel cretino voglia fare lo scemo con me!” Un brivido.
Sono soli sull’autostrada, nessuno per chilometri, per chilometri, accelera, tende i muscoli vede la lancetta del conta chilometri andare oltre i centosessanta.
La luce è sempre dietro di lui, vicina, ora, vicinissima, lo tallona.
“Ma porca miseria “pensa, “è grande troppo grande,non può essere il faro di una moto, è anche troppa alta.”
“Ma che cosa diavolo sarà, un attimo, un attimo forse ci sono, deve essere il faro di un grosso camion che ha fulminato l’altro.”
“Ma come fa a correre in quel modo assurdo.”
La luce lo tallona.
Ora è solo a pochi metri e, ed è forte vivida sembra luce allo iodio è accecante, forte, sempre più forte. C
“Cosa vorrà da me questo pazzo criminale pensa Sigmund.”
Continua ad accelerare, la lancetta supera i centonovanta, l’auto è al massimo, Sigmund comincia ad avere paura.
Si fa strada il panico, la macchina comincia ad avere, segni di cedimento Sigmund non è un grande guidatore e la sua, non è una macchina sportiva, cosa fare, si arrende, non serve scappare. Sentendosi preda braccata, considera la cosa migliore, da farsi è quella di fermarsi e di farsi sorpassare, anche perché ha la coscienza apposto, non ha mai fatto male a nessuno e non riesce a capire cosa diamine possa volere il guidatore di quel camion, che lo insegue.
Rallenta, la luce rallenta, rallenta ancora, la luce fa altrettanto sente di nuovo la musica dell’autovettura, si calma, poi all’improvviso la radio non trasmette più.
Solo scariche su scariche, cosa diavolo sta succedendo, la luce è dietro di lui, è più vicina.
Sigmund blocca l’auto si ferma accosta sulla sua mano.
La luce gli è vicinissima quasi addosso, la paura gli blocca la voce, i movimenti.
Quel pazzo mi vuole uccidere, ma perché, cosa gli ho fatto,?
La luce è vicinissima, quasi a contatto con l’auto di Simun
Poi senza alcun rumore si alza superando a volo radente la macchina di Sigmond per poi continua la sua folle corsa, come una palla di fuoco impazzita.
Non è successo nulla
Sgmund respira affannosamente e non comprende che cosa gli sia capitato.
Ma dov’è il camion ?
Ccos’era quella luce.?
Tutto è calmo, tutto è silenzio, le stelle sono limpide e bellissime poi, la radio, riprende le sue trasmissioni, la musica riempie di nuovo l’abitacolo dell’auto.
Tutto come prima Sigmund è sconvolto, cerca di riprendersi si sforza di calmarsi.
Alla fine riparte.
Pensa e ripensa a quello che è successo, non riesce a comprendere ma, di una cosa è certo ha incontrato una entità aliena, proprio lui che, cosi scettico, comunque in nessun caso racconterà mai quello che ha visto e ha vissuto sulla sua pelle.

Epilogo

Notte, la stessa notte, nella stessa ora nella stazione meteorologica di Stathowill a pochi chilometri dalla autostrada sono di turno il dottor Frince e la sua assistente Lena Lance.

Il dott Chiede Frince chiede:
“ Hai verificato l’ inversione termica che si prevede per questa notte? “
Risponde l’assistente: “Si è verificata qualche ora fa”
Domanda lui:
“ Hai notato qualche anomalia?”
Risponde l’assistente.
“ Al momento solo un aumento del cambio magnetico più tosto intenso direi.”
Replica il dott Chiede Frince :
“ E’ normale in queste circostanze, sai bene che in tali situazioni può verificarsi, uno dei più strani fenomeni che madre natura abbia creato per noi poveri mortali.”
“Quale?”
chiede incuriosita l’assistente:
“l Fulmine globulare ,
risponde il dott Chiede Frince e continua:
“Quello a cui si attribuiscono alcuni comportamenti veramente strani , che si presenta come una palla di luce che rotola ,soprattutto, in pianura , insegue corpi metallici in movimento dando addirittura l’impressione di essere intelligente.
Per fortuna sono, rari molto rari, di solito sono incontrati da esperti scienziati che danno loro la caccia per fotografarli.
Risponde l’assistente:
Immagina cosa penserebbe un povere impreparato mortale se dovesse malauguratamente incontrarne uno, ma non preoccupiamoci stasera sull’autostrada non c’era molta gente e le probabilità di incontro sono una su un milione.

L'attesa di Durac lenner

Durac lenner era fermo da un’ora all’angolo di quella strada. Indossava un cappotto color cammello ed aveva una sciarpa marrone che avvolgeva intorno alla gola a modo nodo di cravatta. La sera era fredda ma non eccessivamente e le luci della città davano ai colori e un tenue sfumato contrasto che li rendeva simile a pennellate d’acquarello. La gente gli passava accanto e sembrava non accorgersi di lui e lui sembrava non accorgersi di loro. Era assorto nei suoi pensieri sempre più neri sempre più di sconfitta, ormai era stato superato il tempo massimo di sopportazione ed era in procinto di andarsene. La vide arrivare in lontananza, il suo cuore si riempì di gioia e sorpresa esultò, ma durò assai poco. Lei lo vide rimase per un attimo ferma poi con voce irata gli scagliò le seguenti parole. Che diavolo fai qui, non dovevi essere a casa che cretino che sei non ci si può mai fidare di te. Duran Lenner rimase in mobile quasi gelato, perché quella donna gli si rivolgeva in quel modo e cosa volevano dire le sue parole. Era il loro secondo appuntamento e dopo un primo fugace incontro in quel bar dove per caso si erano conosciuti e, quale casa e perché non ci si poteva fidare di lui. Era tutto incomprensibile lei lo guardava con disprezzo con odio poi continuò. I bambini, ti avevo lasciato i bambini e, tu come un imbecille li hai lasciati da soli, non avrei mai creduto che potessi arrivare a tanto. I bambini , ma quali bambini pensò Duranc Lenner. Non era sposato viveva da solo e non aveva certamente bambini, quella donna doveva essere pazza, non ce altra spiegazione possibile. Quasi per istinto guardò l’orologio quasi forse per rompere l’assurdità del momento, ma quello che vide lo lasciò ancora più in sgomento le lancette giravano in senso antiorario in maniera vertiginosa. Ebbe un momento di smarrimento, poi un forte giramento di testa si sentì mancare, si appoggiò al muro e si portò le mani al volto, quasi si volesse proteggere. Chiuse gli occhi quando li riaprì era di nuovo solo nella strada e la donna era scomparsa. Qualche secondo di perplessità, poi riguardò l’orologio le lancette procedevano in maniera regolare e segnavano qualche minuto prima dell’appuntamento. Si sentì chiamare, poi la vide era la stessa donna, la stessa l’aveva insultato, ma era vestita in modo diverso ed sembrava più giovane, bellissima ed era stranamente puntualissima. Lei si avvicinò, lui la guardò addolorato, era la prima volta nella sua vita che qualcuno era arrivato puntuale. Fu come una illuminazione e capii e senza neanche risponderla al saluto corse via e non si fermò fino a quando non ebbe più fiato in gola. La sua mente ormai era preso da un solo pensiero, quanto era bella l’attesa e, come era importante sapere aspettare e da quel momento, l’attesa divenne la sua arte.

L’ultima Sigaretta di Robert Sulliivan

Mozziconi quanti mozziconi ho buttato, quanti pacchetti cincischiati ho lasciato in giro nella mia vita, quasi una semina da cui aspettava nascessero frutti, che poi non ho mai visto fiorire. Frammenti d’ore che mi appartengono, ricordi ogni momento bello, brutto, una sigaretta un’emozione, un pacchetto una parte di me lasciata da estranei gettata via.
Robert Sullivan era come si dice un gran fumatore uno di quelli che accendono una sigaretta dopo l’altra e, che impossibile incontrarlo senza la sua compagna con le labbra.
Sembrava quasi incantato quando osservava le volute di fumo giocare a rincorrersi nell’aria, per lui era uno spettacolo il più bello del mondo, una boccata di piacere che sarebbe stato un peccato mortale perdere.
Non era mai accaduto che rimanesse senza le sue adorate chiavi.
Eppure assurdo solo pensarlo, nel pacchetto che stringeva in quel momento tra le mani gli era rimasta una sola sigaretta. Era in casa andò alla ricerca di quella stecca che era obbligatorio tenere sempre di riserva e che di solito nascondeva in un posto segreto. Non riuscì a trovarla, era tardi, la notte era scesa da un pezzo e non sarebbe stato facile trovare l’emporio aperto. In ogni caso non poteva stare li ad aspettare, di fumarsi quella ultima sigaretta e poi attendere ore, senza la sua compagna di sorte.
Il solo pensarci lo terrorizzava, cominciò a immaginare scenari dolorosi e senza un attimo di riflessione… … si incamminò verso il centro del villaggio.
Edwelmtre era un piccolo centro agricolo del Mid west, un paese antico di coloni tutta gante per bene che si faceva i fatti suoi che rispettava il prossimo e che pretendeva rispetto. Forse lasciava un po’ a desiderare nell’ospitalità con gli estranei. Ma Sullivan si era integrato bene ed erano anni che viveva in quella città. Il suo lavoro era ben pagato e questo gli permetteva una vita quasi agiata, gli pesava un la solitudine ma anche a questo ci su abitua, gli sarebbe stato difficile condividere con una presenza femminile. Non che le donne non gli piacessero, anzi ma preferiva rimanere solo e, avere come diceva lui, delle amiche qualcosa di più, con cui passare delle ore di sani svago ..ginnastica sessuale.
La notte era calda e le luci della strada tracciavano il suo incedere; guardò l’orologio erano le venti e trenta , estrasse dal taschino della camicia il pacchetto di Camel, lo guardò, sorrise, pensò,: non è ancora arrivato il momento di accenderti, ancora un poco doveva resistere prima di trovare l’ emporio aperto.
Camminò un po’ più velocemente nell’aria un profumo stano, accattivante, romantico antico respirò profondamente poi tossì, quella tosse stizzosa, roca, tipica dei fumatori, giunse davanti alla rivendita, rimase impietrito era chiusa.
Tutto era spento deserto. La prima cosa che gli venne in mene fu di mettersi ad urlare chiamare il proprietario svegliarlo nel cuore della notte, ma resistette ricordò il carattere dell’uomo e la sua propulsione a impugnare le armi e talvolta a sparare contro chi l’avesse disturbato nel sonno. Era già accaduto negli anni precedenti.
Si sedette sugli scalini che portavano all’ingresso dell’esercizio ed istintivamente prese il pacchetto con la sigaretta di .. l’estrasse la portò alle labbra e cercò il suo accendino, non era nel taschino, non era nelle tasche dei pantaloni.
Cercò dappertutto niente, nella fretta di uscire evidentemente l’ aveva lasciato a casa. Sfortuna delle sfortune pensò, ora mi tocca rincasare se voglio fumare e così fece.
Ma quando giunse sotto casa si accorse con crescente disappunto che aveva dimenticato le chiavi sul tavolo di soggiorno. Niente di grave dopo tutto la signora che accudiva le faccende domestiche sarebbe andata a casa sua molto presto verso la sei e trenta, quindi era questione di pochi minuti e poi avrebbe aperto la porta con il duplicato delle chiavi, il problema sarebbe stato risolto.
Si arrese, era destino che non doveva fumare, per qualche ora non sarebbe morto per questo, erano anni che non accadeva e per questo era il caso di crucciarsi oltre le sue.
Si sedette sul marciapiede e incominciò a fissare il lampione.

La sua mente dapprima vogò su pensieri lontani, poi prepotente tornò al pacchetto, alla sigaretta, lo riprese tra le mani estrasse la sigaretta e la portò golosamente alla bocca.
“Vuole accendere signore! “ La voce lo fece trasalire .
Chi era a quella ora, cosa succedeva qualcuno gli leggeva nel pensiero! Oppure era solo una banale coincidenza.
Alzò la testa guardò avanti a cinque sei metri da lui vide un giovane, alto biondo, capelli lunghi fino le spalle era in penombra ma Sullivan immediatamente notò il suo strano abbigliamento.
Sulle prime non riuscì a mettere a fuoco l’uomo, poi man mano che si sforzava l’apparizione gli parve ancora più strana e misteriosa, l’uomo, il giovane indossava una tunica azzurra ed era scalzo. “Chi sei chiese!” Il giovane non rispose ma si avvicinò, Robert Salliver rimase impietrito, quel giovane non camminava era come se fluttuasse e pareva fosse fosforescente.
Si stropicciò gli occhi come per svegliarsi da un improvviso sonno, ma il giovane era sempre più vero che mai .
“ Vuole accendere signore! “Ribadì il misterioso giovane
“Chi sei e, cosa vuoi”.Sullivan, era ormai in preda a una paura irrazionale nel crescente.
Di storie di fantasmi se ne raccontavano tante, ma lui non aveva mai dato loro, la benché minima attendibilità.
Lui era pragmatico, concreto, ateo eppure ora gli toccava una situazione cosi incredibile .
Si alzò di scatto e pur essendo un uomo più alto di un metro e novanta dovette rendersi conto che il giovane che ava di fronte lo superava di diversi centimetri.
Per un attimo la ragione prese il sopravvento, non poteva essere che un uomo, magari strano, ma pur sempre un uomo in carne ed ossa.
Forse vestiva in quel modo per qualche ragione che gli sfuggiva, ma era solo e sicuramente un uomo.
Si avvicinò ancora e stava quasi per toccare il giovane, quanto si sentì invadere da un torpore innaturale, si sentì improvvisamente stanco, molto stanco sedette di nuovo. Il giovane senza il minimo rumore sedette accanto a lui, poi con voce suadente parlò:
“ Robert Sullivan sono venuto perché tu possa accendere la tua ultima sigaretta, te la sei meritata ma sarà l’ultima perché nel luogo dove andremo non potrai più fumare, per molto, molto tempo, per sempre.”
Sallivan era sbalordito sconcertato , che diavolo di scherzo era quello, chi era quel giovane, perché diceva quelle cose assurde, possibile che fosse l’angelo della morte,di cui tanto leggente raccontavano e che fosse giunto per lui il mio momento di passare all’alta vita!
Non era possibile aveva appena cinquanta anni e godeva ottima salute, forse i suoi polmoni erano un poco malandati, per via di tutte quelle sigarette!
Forse il cuore era un poco affaticato ,ma, morire gli sembrava davvero esagerato.
Il giovane lo guardò con aria assorta e dolcissima, era bello era veramente bello, una pace profonda lo pervase
Forse era vero, forse era giunta la sa ultima ora, infondo pensò, è giusto che sia così, quasi si fosse arreso del tutto.
La sigaretta gli era rimasta tra le mani, la portò alle labbra e il giovane con grazia gli porse un bastoncino con la punta in fiamme.
Sullivan accese la sua ultima sigaretta aspirò profondamente come era buona era stata la sua più fedele compagna, come era buono il suo sapore come era dolce.
Forse morire fumando era stato uno dei suoi più grandi desideri. Aspirò lentamente ancora, poi una luce fortissima lo accecò e da quel momento si senti leggero.
La sigaretta cadde in terra e lui ebbe la sensazione di essere trasportato in alto la sua anima, tutto se stesso gli parve dissolversi…


Epilogo

La signora Miccerfoon, come sempre puntuale e meticolosa aprì la porta di Sullivan come sempre arrivò alle sei e trentadue di mattino, le solite tre mandate dall’interno.
Tutto era in ordine.
Si accorse del cadavere solo quando entrò nel soggiorno era disteso sul divano aveva il volto sereno, non quello tipico di una morte improvvisa.
Il coroner dichiarò che l’autopsia aveva evidenziato una morte assolutamente naturale, dovuta ad un improvviso devastante infarto, aggiungendo per inciso che il fumo aveva mietuto un'altra vittima. L’agente Flobbet completò il suo lavoro di rito nel cotile di Sullivan, non vi era niente da cercare, si trattava certamente di morte naturale nulla di sospetto, però il suo dovere era dovere e le procedure andavano rispettate.
La porta, era chiusa a chiave da dentro perché le chiavi erano sul tavolino del soggiorno.
Che strano pensò, stringeva in mano un pacchetto vuoto, quando sul tavolino vi era una intera stecca.
Qualcosa attrasse la sua attenzione il vecchio investigatore .
Per terra, vicino ai suoi piedi c’era una sigaretta poco consumata, spentasi subito dopo essersi stata accesa.
Si chinò , la raccolse, la guardò era una Camel, la marca preferita dal povero morto.
La gettò via senza ritegno, no, non poteva essere stata l’ultima sigaretta di Robert Sulliivan

Solo il tempo potrà dare ragione

Solo il tempo potrà dare ragione


Solo il tempo potrà dare ragione al bene o al male
di questa amara vita di sabbia e di scirocco.
Persuaso dell’essere , con contrappunto diviene
di forze divine assetate di sangue, ragione.
Conforto, speranza di tormento feroce che brucia
Templari, in quel dannato venerdì in cui sciolto
fu l’ordine costituito.

Da Malta, qualcuno rammenta il giuramento che
persuase il sovrano a non chiedere vezzo a Praga.
L’ Egitto rispose col suo ricordo di riti ed il Rabbino
intimò la vita ed il movimento al suo Golem.
Leggenda di Osiride si fonde con l’Eleusino culto
di nascita, di morte in cui Demetra chiede giustizia
nell’oscurità dell’Ade

Contenuti falsati andaron alle genti che perpetrarono
Esseni pensieri, costruendo fede che fu remota rispetto
a quel Cristo, portatore di luce ed di gnosi.

Scopri la fronte o Minerva a tanta ingenuità.
Castiga gli dei o Demiurgo , porta per mano
l’uomo sulla retta via a ritrovare quell’unico
accento di vero che resta nella storia ritrovata,
sulle sponde del mar morto.

La vita verrà

La vita verrà

Verrà la tua notte verrà a chiudere un giorno qualunque a dipingere di nero il tuo gioco e chiudere gli occhi sul mondo , piccolo uomo.
Verrà il tuo giorno verrà a dar corpo alle stelle e piccoli ori sulla tua pelle.
Verrà la tua estate verrà con gelati, colori, ombrelloni e piccoli amori che avrai con secchielli di sabbia.
Verrà il tuo autunno verrà con foglie morte, stagioni perdute, nel tempo strano di fine novembre.
Verrà il tuo inverno verrà ,con te, vento sul viso e un dolce sapore di miele lontano nel tempo.
Verrà si verrà, quel tuo giorno, che dovrai dire, parole d’amore dimentico dei banchi di scuola
che ancora ti narrano la storia.
Verrà quel momento varrà e per un attimo uomo sarai e stringerai forte la mano, ma che tenerezza che c’è in quel gesto d’eroe.
Verrà il momento verrà che anche tu sentirai nella gola il bisogno di dire, di fare qualcosa di nuovo.
Verrà certamente verrà l’ora di solitudine, rimorso del tempo sprecato del tempo perduto per sempre
Verrà il tuo giorno verrà, verranno le nuvole in celo , tempesta, sul monte e sul niente del tuo avvenire
Verrà il tuo giorno verrà per raccontarti, paure, dolori , verrà e la tua mano allora sarà con la mia.
Verrà quel giorno verrà e queste poche parole che ho scritto, per un tempo perduto e mai detto
per un amore ormai cieco e di niente, fissato su un vetro, saranno il tu incedere certo

Sto bene qui

Sto così bene, qui,
chiuso in un guscio di mondo
lasciando fuori i rumori, la gente.

Lo sguardo assente,
lievi emozioni, sapori, colori.

Un’aria lieve di sete che
entra a voler rapire il tuo vago
essere pigro.

Mi lascio andare , incurante del trillo
lontano di un telefono,
che implora il ritorno
ad una realtà
che non mi piace assolutamente

Noi

Quanta America c’è
in questo angolo di mondo
schiuso ad un furtivo
vivere dentro.
Tavole tinte
di pensieri bruciati
soffocati di fumo,anneriti frammenti,
epopee frettolose
di già venute
sbiancai avvenire
sviluppo inconsulto di ologrammi perversi in un
immaginario nodo
di binario linguaggio
che urla comprensione ad anime
di immutata superbia.